La partitura del caso

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Descrizione

La partitura del caso.

Una donna ha fatto della musica la sua weltanschauung. Un’arte meravigliosa che è presente a ogni passo del suo percorso. Illumina il pensiero. Ne plasma sogni, passioni, inquietudini, speranze e si fa veicolo per la sua percezione del mondo.

Non c’è vita senza musica: ascoltala, se vuoi sentire il respiro del mondo.

Accompagnata dai suoi amici più fedeli, un libro che le parla del mondo e una musica che le parla della vita, vede la danza inebriata delle fronde degli alberi mosse dal vento e sente, ovattati e lontani, i pochi rumori che provengono dall’esterno. Inizia a leggere, mentre la musica, come sapiente colonna sonora, arricchisce le immagini e i pensieri evocati dallo scrittore.

 

2 recensioni per La partitura del caso

  1. Daniela

    Una storia d’amore: amore totalizzante e assoluto come tutti i grandi amori.
    È la musica l’amore per il quale Cecilia plasmerà la sua vita in un crescendo di entusiasmi e rinunce.
    Fin dall’inizio la narrazione mette al centro della vita di Cecilia, dei suoi primi istanti, il suono, le note, l’armonia. Da quel momento la musica non la lascerà più; ma Cecilia pur vivendo in simbiosi con essa non riuscirà a raggiungere il compimento del suo sogno: diventare concertista.
    Si sentirà perennemente inquieta e insoddisfatta. Ma forse proprio per questo si impegnerà con tutta la forza e l’entusiasmo del suo amore a cercare di dare più spazio e dignità all’insegnamento della musica denunciandone carenze e difetti.

  2. costantino

    La partitura del caso è qualcosa di più di un’autobiografia: è il racconto di una perdita e di un ritrovamento e della storia che sta tra l’una e l’altro. Cecilia -un nome scelto non a caso- è la protagonista in cui l’autrice proietta se stessa per raccontarsi, scandendo la narrazione in tre fasi separate e distinte: dalla sublimità di un’infanzia e un’adolescenza vissute in una pienezza di vita che a pochi è concessa, alla discesa nella tragicità del mondo reale che caratterizza la sua esperienza di donna, fino alla visione finale grazie alla quale ritrova quell’originaria autenticità esistenziale e quel senso di sé e del mondo della cui nostalgia si era sempre nutrita, pur nell’amara consapevolezza di un loro smarrimento. Ma andiamo con ordine. Cecilia è una bambina che manifesta fin da subito uno spiccato talento per la musica; anche qui, però, la parola “talento” rischia di essere riduttiva; non si tratta infatti soltanto di una particolare abilità, di cui per riconoscimento unanime lei è senz’altro dotata, ma soprattutto dello strettissimo legame tra questa abilità e il valore della musica che si instaura in lei e la fa tutt’uno con la sua vita; sia perché la musica -ascoltata ed eseguita- è il linguaggio più vicino all’originaria modalità di relazione e, quindi, è quello che più di ogni altro riesce a mettere in armonia la coscienza e la vita -l’io e il bios- sia perché è il linguaggio che, al limite tra disciplina e immediatezza e a differenza del linguaggio verbale, non permette di mentire e garantisce quindi relazioni più autentiche tra i viventi. Ed è questo legame tra abilità e sensibilità a far sì che Cecilia si senta parte integrante della natura, si immedesimi in essa fino a fondersi nella sua immensità; un amore per la natura che non l’abbandonerà mai e grazie al quale, fin dalle corse e dai rotolamenti sui prati del Gianicolo durante i giochi infantili, il cielo ed il mare, come anche un albero o un fiore saranno sempre ai suoi occhi altrettante incarnazioni della stessa Terra Madre, eterna protettrice e consolatrice in cui trovare rifugio sicuro anche nei momenti più avversi. Ed è sempre questo legame, condiviso con i suoi compagni di conservatorio, a pizzicare e far vibrare quella sua grandissima capacità di empatia, che non smetterà mai di accendersi e che mai smetterà di inseguire nell’avvicendarsi delle relazioni umane, in una ricerca a volte tanto spasmodica quanto frustrata. Una tale pienezza, sperimentata fin dall’infanzia, è immaginabile solo come un miracoloso prolungamento della vita nel seno materno; e in tale prolungamento Cecilia si diploma a pieni voti al conservatorio di Roma e si perfeziona poi a Siena, presso la prestigiosa Accademia Chigiana che può frequentare grazie ad una borsa di studio, vinta nonostante il parre contrario, se non il rifiuto, della famiglia. Sono gli anni dolorosi della guerra, delle privazioni e delle paure, dei bombardamenti su Roma, del padre richiamato alle armi, della morte sempre affianco; e poi della liberazione, della faticosa ricostruzione, delle prime avvisaglie del boom economico e dei conseguenti mutamenti nel costume e nelle mentalità. Anni duri per tutti, anche per Cecilia, ma per lei al riparo dell’alveo caldo della bellezza e della musica, vita e ragione di vita. Poi, al culmine della sua formazione accademica, la morte improvvisa della madre, le difficoltà finanziarie e la necessità, dettata dalla forza delle cose non meno che all’opinione dominante, di cercare un “lavoro”. L’alveo si era rotto: alla bellezza del mondo subentrava la sua verità, ed iniziava per lei un faticoso travaglio fatto di risposte ad annunci economici, di offerte umilianti, fino alle prime supplenze ed alla conquista di una cattedra nella scuola pubblica; un’esperienza che la coinvolgerà totalmente, trasformandola da musicista pura in missionaria della musica. Da qui l’impegno assiduo nella ricerca, lo studio e la sperimentazione di una appropriata didattica della musica e la lotta per un riconoscimento istituzionale di questa disciplina, affiancata da poche colleghe, ma più spesso nell’indifferenza degli altri docenti e delle autorità. In questa temperie, la nuova famiglia e la cura dei suoi cari: suo marito, un intellettuale di spicco, da lei ammirato al limite della venerazione, ma lontanissimo dal suo mondo spirituale e i suoi due figli ai quali si dedicherà con quella determinazione, quell’abnegazione, quella forza e quel coraggio senza compenso di gloria e d’onore di cui solo una donna è capace: ”ogni settimana due notti in treno” per andare a trovare il maggiore dei due, quando era in servizio di leva sotto un regime che dire criminale è poco. La stessa forza e lo stesso coraggio di cui più tardi si armerà, in silenzio e solitudine, durante la lunga malattia del marito, assistendolo amorevolmente fino alla fine, finché “fu, nuovamente, il silenzio”. Tuttavia, pur in questa esperienza tragica del silenzio della vita, la prepotente vitalità di Cecilia rimane solo poco tempo assopita: a ridestarla sarà l’incontro con una donna un po’
    misteriosa, una sera al tramonto, su una spiaggia del Salento; sarà questa a farle “capire che si può vivere felici e in armonia con l’umanità se ci si libera dal fardello delle illusioni e delle utopie, e s’indirizza il proprio pensiero e le proprie scelte sull’essenzialità della vita”. È un’illuminazione che spinge Cecilia ad interrogarsi “su cosa [sia] essenziale per lei”, che le dischiude lo “scrigno della sua memoria” e le apre la strada per “tornare allo stupore dell’infanzia e alle passioni della giovinezza”. Le ultime pagine del libro ci raccontano poi di “una nuova progettualità” e della “costruzione di qualcosa di nuovo che si nutre dell’antico”, ma la storia di Cecilia si può dire finisca qui, con il ritrovamento di quello che sembrava perduto: la musica, vita e ragione di vita.

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